Intervista ad Alexander Stille: “Trump ha un progetto autoritario, è pronto a tutto”

L’America del Trump 2.0
«La classe dei lavoratori, che gli ha fatto vincere le elezioni, non ha ottenuto nulla dal tycoon, solo lo “spettacolo” emotivo delle deportazioni. Ma l’opposizione popolare è robusta»

L’America militarizzata. L’America in guerra. L’America del Trump 2.0. L’Unità ne discute con Alexander Stille, giornalista e scrittore statunitense che collabora con prestigiose testate come The New Yorker e The New York Times, e insegna giornalismo alla Columbia University. Il suo ultimo lavoro, The Sullivanians: Sex, Psychotherapy, and the Wild Life of an American Commune (Farrar, Straus & Giroux) ha riscosso un successo di critica e di lettori.
Invia la Guardia Nazionale e i marines a Los Angeles. Minaccia di far guerra all’Iran, a sostegno del suo amico e sodale Netanyahu. Professor Stille, che America ha in mente Donald Trump? Le spiegazioni sono molteplici. Credo che ci siano varie correnti ed elementi all’interno dell’amministrazione Trump che hanno visioni e scopi diversi. Lo scopo di Trump è semplicemente quello di ingrandire il più possibile il suo potere. Qualcosa che sconfina da un ambito prettamente politico e investe quello patologico, legato al suo ego smisurato, ad una incontenibile megalomania. Espandere il proprio potere è per lui quasi un bisogno fisiologico, un appetito insaziabile. Non importa come soddisfare questa fame di potere, il fine giustifica i mezzi, non importa la coerenza, ciò che conta in assoluto per Trump è il fine che persegue. Per raggiungerlo è disposto a fare di tutto e il suo contrario. Può essere a favore di un negoziato con l’Iran se lui ne emerge come il grande eroe che ha salvato il mondo dalla bomba atomica degli ayatollah, oppure potrebbe assecondare l’iniziativa militare d’Israele, se non addirittura esserne parte. Opzioni opposte, che devono però convenire al medesimo risultato: quanto è bravo Donald Trump.
Lei ha fatto riferimento a elementi diversi all’interno del “cerchio magico” del tycoon. Di chi e di cosa si tratta, professor Stille? Persone che hanno visioni più articolate. Penso, ad esempio, al suo consigliere sull’immigrazione, Stephen Miller, figura di primo piano nell’amministrazione Trump, portatore di una visione nazionalista bianca, con il dichiarato proposito di rovesciare quanto più possibile cinquant’anni di immigrazione aperta negli Stati Uniti, che hanno cambiato la demografia del paese trasformandolo da prevalentemente bianco a molto più cosmopolita, multietnico. Quindi, chiudiamo le frontiere, impediamo l’immigrazione da vari paesi africani e mediorientali, favoriamo, se è possibile, l’immigrazione bianca dall’Europa o, ultima idea in ordine di tempo, consideriamo i bianchi sudafricani come un popolo perseguitato. Quest’ultima è l’espressione più emblematica di quella che è una visione profondamente razzista, basata sulla fantasia malata che i bianchi in Sudafrica sono vittime di un genocidio. C’è poi la visione della destra evangelica, che cerca di rovesciare decenni di secolarizzazione di un paese più laico e imporre la religione al centro della vita nazionale.
Professor Stille, c’è un comun denominatore a queste visioni? Direi di sì. Ed è una visione “orbaniana”: trasformare gli Stati Uniti in quello che gli scienziati della politica definiscono un regime autoritario-competitivo.
Vale a dire? Un regime in cui continuano ad esistere partiti di opposizione, ma sono talmente indeboliti che, in fondo, la competizione elettorale diventa meramente formale o quasi. Lo diventa, perché intanto hai preso potere dentro tutti i settori della società civile che erano in grado di resistere o bilanciare, seppur sempre più debolmente, il potere centrale. Da qui la guerra contro le università, le purghe di massa all’interno dell’amministrazione pubblica, l’attacco alla magistratura, le querele contro le Ong e gli studi legali che rappresentano cause considerate avverse all’amministrazione Trump. Ecco allora mettere in atto tutta una serie di misure volte ad eliminare i settori rimasti indipendenti dal potere di Trump. Che forse non ha neanche letto “Progetto 2025”, ma lì è tutto scritto. Il vicepresidente Vance lo ha detto apertamente, noi conservatori abbiamo perso la cultura, abbiamo perso le università, e per riguadagnare potere dobbiamo dare l’assalto alle università, alle istituzioni culturali, alla pubblica amministrazione. Vance ha ripetuto apertamente che bisogna licenziare milioni di burocrati che non sono affini o obbedienti a noi e sostituirli con personale nostro. Tutto questo va totalmente contro la tradizione, che risale all’inizio del ‘900, per cui l’amministrazione pubblica è apolitica, in cui chi sta al potere deve contenere in un numero limitato gli incarichi che l’esecutivo può scegliere, mentre la stragrande maggioranza dei burocrati pubblici sono persone che servono in amministrazioni di destra o di sinistra e che hanno delle competenze tecniche che continuano ad esercitare nonostante il cambiamento di potere a Washington. Trump e i suoi consiglieri vorrebbero cambiare, stravolgere tutto questo. Tutta l’America statutale dalla loro parte e prendere il potere nei vari settori rimasti indipendenti. È questa la strategia comune. Trump magari tutto questo lo capisce in un modo non molto articolato e viscerale, cioè tutto quello che non mi è amico è mio nemico, dunque faccio guerra a tutti quei settori che non mi hanno lusingato, che non mi hanno dimostrato ubbidienza. Altri, nella sua amministrazione, lo seguono con una politica più articolata, molto più mirata, quella declinata da “Progetto 2025”. Va anche rimarcato che tra i centri di potere all’interno dell’amministrazione Trump, c’è anche la vecchia base repubblicana, i grandi donatori molto ricchi che finanziano le campagne elettorali, ottenendo in cambio un enorme taglio delle tasse per i settori dell’economia che questi finanziatori rappresentano.
In questi vari cerchi di quanti hanno contribuito a riportare per la seconda volta alla Casa Bianca il tycoon, c’è qualcuno che ha avuto una brutta sorpresa al risveglio? La classe lavoratrice. Quella più debole in questa coalizione di gruppi di potere. La classe che ha fatto vincere le elezioni a Trump non ha ottenuto nulla. Il taglio delle tasse favorirà i ceti più abbienti, la classe lavoratrice subirà tagli all’assicurazione sanitaria, ai buoni alimentari che aiutano quelli che guadagnano troppo poco per arrivare alla fine del mese. In cambio, hanno qualcosa…
Cosa, professor Stille? Lo spettacolo delle deportazioni. Una specie di circo romano, di Colosseo del terzo millennio, che va bene per le masse per dir loro “guardate che abbiamo promesso di deportare gli irregolari, promessa mantenuta”. Niente sul piano economico, soltanto spettacolo per soddisfare il bisogno emotivo per i ceti lavorativi.
Se il sale di una democrazia, oltre l’equilibrio tra i poteri, è l’esistenza di una opposizione forte, c’è questa opposizione oggi dentro la società americana? Penso di sì. Lo scorso fine settimana abbiamo visto proteste che hanno portato 5milioni nelle strade e nelle piazze di diverse città. Manifestazioni tra le più grandi della nostra storia recente. Esiste un problema però…
Quale, professor Stille? L’opposizione ufficiale, il partito democratico, è confusa, divisa, non bene organizzata, e tuttavia determinante per contrastare i disegni “orbaniani” di Trump. C’è poi una opposizione popolare invece più robusta. Per difendere la democrazia negli Stati Uniti, queste due opposizioni debbono incontrarsi, per poter vincere alle elezioni, a cominciare da quelle di midterm, e impedire il rovesciamento, in atto, delle istituzioni e dei poteri democratici.
l'Unità